Un nuovo modello di impresa per un’economia in sintonia con l’ambiente.

Tre domande a Luca Berla

La relazione fra l’economia e l’ambiente non è nuova. Il Festival dell’economia della Scuola cantonale di commercio ha dedicato a questo tema la sua sesta edizione che ha visto la partecipazione di esperti in materia. Si è quindi parlato di economia circolare, di responsabilità sociale d’impresa e di contabilità ecologica come pure di finanza sostenibile e di greenwashing.

Alcuni moduli di Iconomix trattano questo tema, in particolare il video tematico «Cambiamento climatico: politica climatica internazionale» e la simulazione Excel dedicata alla «Contabilità nazionale».

Per approfondire questi argomenti abbiamo intervistato Luca Berla.

Crescita e mutamenti climatici

Due moduli affrontano questi temi. Il modulo «Cambiamento climatico: politica climatica internazionale» spiega i motivi per cui è difficile arrivare ad un consenso internazionale per proteggere il clima. Per contro, il modulo «Contabilità nazionale» mostra i principi del calcolo del PIL di un paese grazie ad una simulazione Excel e offre spunti di riflessione per uno sguardo critico su questo indicatore.

Ai moduli «Cambiamento climatico: politica climatica internazionale​​​​​​​» e «Contabilità nazionale»

Pietro Nosetti: Secondo Milton Friedman, le imprese devono massimizzare il profitto. Detto altrimenti, devono perseguire unicamente gli interessi degli azionisti. Questa visione è ancora valida, tenuto conto degli effetti sull’ambiente e sul clima delle attività economiche, degli sprechi e dell’inquinamento denunciati da più parti? Per quale motivo?

Luca Berla: La concezione dello scopo aziendale in termini di produzione di un profitto è oggi sempre più messa in discussione sia sul piano accademico che su quello politico e sociale. Le critiche principali che vengono mosse non riguardano il profitto in quanto «mezzo» (qualsiasi azienda che vuole durare nel tempo e che vuole svilupparsi deve necessariamente fare un profitto) quanto piuttosto il profitto inteso anche come il «fine» dell’azienda, e quindi come un elemento capace di dare un senso all’esistenza dell’azienda. In breve, le obiezioni vertono su due punti. Da una parte, il profitto e il benessere generale non vanno avanti sempre di pari passo. Infatti, non sempre i mercati sono perfettamente concorrenziali e la mancanza di una concorrenza perfetta attribuisce alle aziende un potere di mercato che permette loro di incrementare i profitti senza dovere aumentare l’efficienza e senza implicare necessariamente un benessere maggiore. Dall’altra, la Shareholder value rifiuta l’idea che l’azienda possa avere anche un ruolo etico-sociale, mentre la nostra società esige oggi che l’azienda non sia soltanto efficiente ma anche moralmente giusta. Questi problemi, che sono all’origine di gran parte del malessere sociale che affligge oggi le nostre società, richiedono un ripensamento del nostro modo di pensare all’azienda, nell’intento di riuscire a riconciliare l’azienda con la società.

Sussistono visioni differenti e in che modo queste sono in relazione con il concetto di valore aggiunto?

Il primo passo verso il cambiamento è costituito dall’accettazione dell’idea di responsabilità sociale dell’azienda. La quale va vista innanzitutto come un cambiamento nel modo di intendere la responsabilità morale dell’azienda.
Il concetto di responsabilità sociale implica un ampliamento della responsabilità morale dell’azienda, nel senso che essa non è più moralmente responsabile soltanto verso i suoi azionisti, ma lo è indistintamente verso tutti i suoi stakeholder o, in termini più generali, verso tutta la società. L’azienda è chiamata perciò ad assumersi la responsabilità di tutte le conseguenze (economiche, sociali e ambientali) che le proprie attività producono.
In estrema sintesi, l’azienda deve impegnarsi ad esercitare le proprie attività evitando di generare degli effetti moralmente indesiderabili a danno degli stakeholder, evitando cioè di far subire alla società dei costi sociali, i quali obbligherebbero la società – generalmente per il tramite dello Stato – ad intervenire per sostenere i gruppi sociali svantaggiati dall’operato dell’azienda. Il dovere morale del management diventa perciò quello di assicurare il buon funzionamento dell’azienda (offrire dei prodotti sempre migliori e sempre più economici) tenendo conto di tutte le implicazioni (economiche, sociali e ambientali) che tale funzionamento comporta o può comportare sulla totalità dei soggetti coinvolti nelle attività aziendali.
In senso più ampio, la responsabilità sociale può comprendere anche la capacità dell’azienda di non limitare la propria attività al solo esercizio di una missione produttiva, ma di fornire anche un apporto per migliorare il mondo in cui viviamo.

Quali esempi si possono citare in quanto conformi a questa differente definizione di impresa?

Sulla responsabilità sociale dell’azienda non tutti la pensano allo stesso modo. Le divergenze riguardano in particolare il modo con cui realizzare concretamente tale idea, integrandola efficacemente nella gestione e nel funzionamento dell’azienda.
Al riguardo, nel modo accademico sono stati elaborati alcuni modelli alternativi. Un primo modello consiste nel cercare di inserire la responsabilità sociale nell’approccio Shareholder value. Si tratta quindi di preservare il «vecchio» paradigma di azienda, chiedendo però all’azienda di perseguire il profitto rispettando anche alcune norme etico-sociali ed ambientali.
La Stakeholder value è un secondo modello, ideato da Robert Freeman che si basa sul presupposto che ogni gruppo di stakeholder ha il diritto di essere considerato come un «fine in sé» e non come un «mezzo» al servizio del fine di altri gruppi di stakeholder, e in particolare al servizio del fine degli azionisti. 
Michael Porter e Mark Kramer hanno proposto un terzo approccio, conosciuto come quello del «valore condiviso» (Shared value) per integrare l’efficienza con  l’equità, il successo economico con quello sociale. Si tratta quindi di creare valore per l’azienda e per la società.
Un ultimo approccio è quello che fa riferimento a Vittorio Coda, approccio al centro del quale vi è il modello della Formula imprenditoriale: il ruolo dell’azienda è quello di coniugare i bisogni del mercato e le attese sociali, e contestualmente di generare una redditività sufficiente ad assicurare la continuità nel tempo dell’azienda in condizioni di autonomia finanziaria. Essa deve perciò essere gestita perseguendo congiuntamente tre obiettivi –  competitivi, sociali e reddituali – i quali devono essere considerati non come degli obiettivi antagonistici, bensì come obiettivi armonizzati e perseguiti come un tutt’uno. Il ruolo del management va visto allora come quello di saper dare all’azienda una «buona» formula imprenditoriale la quale deve assicurare il funzionamento dell’azienda innescando un circolo virtuoso fra competitività, responsabilità sociale e sostenibilità economico-finanziaria.

Luca Berla

Dopo gli studi universitari Friburgo, ha insegnato economia aziendale alla Scuola cantonale di commercio di Bellinzona. Dal 1997 insegna alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI), nel Dipartimento di Economia aziendale, Sanità e Socialità (DEASS). Inoltre, si è occupato, in due occasioni, nel Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA) della SUPSI, del seminario e del laboratorio di didattica disciplinare per l’insegnamento dell’economia aziendale destinato all’abilitazione dei docenti alla Scuola cantonale di commercio. 

Articolo di:
Pietro Nosetti
creato il 05.06.2023
cambiato il 04.04.2024