La gratuità e altre tendenze del mondo del lavoro

Tre domande a Spartaco Greppi

La svolta tecnologica porta a nuove forme di lavoro. Al di là degli aspetti positivi in termini di produttività e dei timori per la perdita di posti di lavoro, una nuova tendenza sta prendendo forma, quella della gratuità. In questo contesto si inserisce anche la discussione sul reddito minimo.

Il modulo di Iconomix «Lavoro del futuro», basato su un giornale in formato elettronico (e-paper), mette a fuoco le ripercussioni della svolta tecnologica sull’impiego e come prepararsi ad essa. In effetti il progresso tecnologico porta a nuove forme di lavoro e, per questo, si parla di Gig Economy. Al di là degli aumenti attesi della produttività e dei timori per la scomparsa di professioni e di posti di lavoro, sta prendendo forma una nuova tendenza, quella della gratuità. In quest’ambito si inserisce anche la discussione attorno al reddito minimo garantito.

Per affrontare questi argomenti abbiamo intervistato Spartaco Greppi.

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Usando gli strumenti dell’inchiesta sociale e dando voce a chi opera sul terreno, Samuele Cavalli, Spartaco Greppi e Christian Marazzi analizzano e raccontano il fenomeno del lavoro gratuito, ne rintracciano origini, abusi e conseguenze, offrendo elementi di critica e riflessione al dibattito contemporaneo.

Iconomix: Il concetto di «lavoro gratuito» può far pensare al volontariato. Ma quali sono le forme di lavoro non remunerato apparse assieme alle nuove tecnologie?

Spartaco Greppi: Il lavoro gratuito e non retribuito è sempre esistito. Il lavoro domestico e familiare, le attività di volontariato per associazioni e organizzazioni e l’aiuto offerto a parenti o conoscenti sono infatti indispensabili per garantire il funzionamento della nostra società, tanto che gli istituti nazionali di statistica ne calcolano il volume e ne stimano il valore monetario. 

La gratuità allude al mancato pagamento di un servizio o di una prestazione e si riferisce anche al plusvalore, cioè all’estrazione dai processi produttivi di un valore che supera quello dei beni salariali con cui la forza lavoro viene remunerata. Tuttavia, il lavoro gratuito si è trasformato, evoluto, espanso in forme sempre meno volontarie e sempre più forzate. 

Che si tratti degli stage extra curriculari, degli straordinari non retribuiti, del panorama sfaccettato e ricco di sfumature del lavoro digitale o delle controprestazioni chieste in cambio di un’erogazione dello Stato sociale, il concetto di lavoro non retribuito ha preso un’ampiezza considerevole. 
Nelle sue varie forme, la gratuità comporta dedicare del tempo anche privato per attività produttive. Si pensi, ad esempio, allo svolgimento di attività di servizio un tempo fornite da personale retribuito come i pagamenti online, l’acquisto di biglietti ferroviari o la stampa della carta d’imbarco.

Queste nuove realtà lavorative si stanno diffondendo in modo significativo anche in Svizzera e in Ticino?

In Ticino e in Svizzera, così come altrove, si assiste alla diffusione di diverse forme di lavoro che sfuggono alle tradizionali modalità contrattuali ereditate dal dopoguerra. Sebbene i contratti a tempo indeterminato e a tempo pieno siano ancora prevalenti, almeno tra la popolazione maschile, le statistiche ufficiali evidenziano un aumento significativo del cosiddetto «lavoro atipico». Quest’ultimo comprende contratti a tempo determinato di durata inferiore a un anno, occupati attivi per meno del 20%, lavoro a chiamata e lavoro interinale. Queste rappresentano delle forme di impiego in cui si tende a svolgere mansioni al di là del tempo contrattualmente stabilito, spesso senza una corrispondente retribuzione o con una disponibilità ad entrare in funzione in qualsiasi momento e quindi non pianificabile dal lavoratore o dalla lavoratrice. 

Un fenomeno in ascesa è rappresentato dalla Gig Economy, esemplificata dal crowdwork, ovvero il lavoro per le piattaforme digitali. Pur mantenendosi ancora in termini quantitativi modesti, tale settore sta emergendo come una realtà statisticamente significativa in termini di numero di persone coinvolte.

Le interazioni con le piattaforme digitali possono essere considerate come una forma di lavoro produttivo. Esse contribuiscono al funzionamento, all’innovazione e alla redditività di tali piattaforme. Tuttavia, va notato che spesso questo tipo di lavoro non è compensato in termini tradizionali, ovvero mediante salario o pagamento diretto.
L’ampia diffusione e utilizzo delle tecnologie informatiche comporta, di fatto, la presenza di elementi di lavoro digitale in tutte le attività economiche e ricreative. 

Viste le conseguenze negative in termini di precariato e di impoverimento, quali rimedi si possono immaginare?

Ritengo che si debba andare nella direzione di un’assicurazione generale del reddito e della perdita di guadagno, pensando ad esempio a quelle figure professionali come i freelance o i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, che lavorano a intermittenza, spesso con remunerazioni modeste e altrettanto modesti diritti sociali, pensionistici e non solo. Inoltre, è urgente affrontare la questione del riconoscimento del contributo di ognuno e ognuna alla produzione di valore attraverso la condivisione di informazioni personali e dati comportamentali a qualsiasi livello, fin dal momento in cui si accede alla rete. Il fenomeno del lavoro gratuito sfida le nozioni convenzionali di retribuzione e generazione di valore.

Come afferma Martin Ford nel suo libro «The Rise of the Robots», il valore risiede nei dati. Eric Posner e Glen Weyl, nel loro libro «Radical markets», sottolineano che i dati sono lavoro, proponendo l’idea di un «Reddito da lavoro-dati», come forma di reddito vincolata alla fornitura e alla quantificazione dei dati immessi nella rete. In una prospettiva più ampia, dovremmo considerare l’ipotesi dell’introduzione di un reddito di base incondizionato che riconosca l’ampia diffusione della digitalizzazione e l’uso dei dispositivi digitali connessi.

Sara Duric

Fonte: foto messa a disposizione da Spartaco Greppi 

Spartaco Greppi lavora alla SUPSI dal 2001 come docente-ricercatore e professore al Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale (DEASS). Dal 2015 è responsabile del Centro competenze lavoro, welfare e società (CLWS).
I suoi ambiti di competenza spaziano dalle trasformazioni dello Stato sociale alla sicurezza sociale, dalla valutazione delle politiche sociali alle nuove forme di lavoro, fino alle condizioni lavorative, di vita e di salute. 

Articolo di:
Pietro Nosetti
creato il 29.04.2024

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