Tre domande a Pierre Dillenbourg

La pedagogia nell’era digitale

Quando nel 2020 è rimasta chiusa la maggior parte delle scuole nel mondo, l’uso dei sistemi di gestione dell’apprendimento e di altri strumenti didattici digitali ha conosciuto un vero e proprio boom. In che modo questo fenomeno eccezionale ha cambiato la maniera di insegnare e di imparare?

L’espressione «digitalizzazione dell’insegnamento» fa pensare a tante cose, tra cui anzitutto un uso sempre più frequente di ausili digitali a lezione, quali video ed esercizi online, serious games, strumenti per lo sviluppo delle competenze informatiche e così via. Riflettendo meglio sul concetto, ci si rende però conto che si tratta anche di un cambiamento culturale profondo, che implica quesiti che vanno al di là di quanto accade in classe: quali competenze devono sviluppare i giovani per essere al passo coi tempi? Come cambia il modo di imparare? L’apprendimento a distanza è efficace sul lungo periodo?

La pandemia ci ha fornito qualche abbozzo di risposta. Pierre Dillenbourg, vicepresidente associato per l’educazione del Politecnico di Losanna (EPFL) ed esperto di applicazioni informatiche alla pedagogia, ha assistito personalmente nel campus agli effetti di queste nuove modalità di lavoro: una maggiore flessibilità per alcuni studenti e docenti da un lato, a fronte però di una mancanza di socialità dall’altro. A lui abbiamo posto tre domande per avere una veduta più ampia delle sfide – presenti e future – legate alla digitalizzazione della scuola.

Toolbox per l’apprendimento digitale di Iconomix

Troverete qui tanti strumenti e ausili per la preparazione di quiz e lavori di classe, per la creazione di contenuti multimediali nonché indicazioni per l’insegnamento a distanza. 

Iconomix: Digitalizzazione e pedagogia, amiche o nemiche? Abbiamo scelta?

Pierre Dillenbourg: In quanto ricercatore in campo informatico devo restare obiettivo e osservare sempre il fenomeno con occhio critico. Tuttavia è chiaro che oggi non abbiamo scelta e che la digitalizzazione si è affermata nelle aule scolastiche, come d’altronde anche nell’economia. Questo però non significa che si debba ricorrere al digitale «tanto per», occorre invece concentrarsi sulle nicchie in cui la sua applicazione è davvero interessante e comporta un valore aggiunto. La tecnologia non ha reinventato l’insegnamento, ma consente talvolta di potenziare l’intensità cognitiva e di accedere a strumenti più simpatici e stimolanti. Elaborare un budget via app interattiva, ad esempio, apre un mondo di possibilità ed è più motivante per giovani studenti e studentesse.

Inoltre, il digitale permette talora di accrescere la partecipazione attiva in classe (voto a metà lezione) e di far apparire gli argomenti più pertinenti spingendo gli studenti a scoprire e spiegare i concetti.

Da molto tempo osserva gli sviluppi in campo pedagogico. Quali sono i cambiamenti più significativi che ha riscontrato negli ultimi cinque anni? E quali invece dalla chiusura delle scuole nel marzo 2020?

Nel corso degli ultimi decenni non ci sono state rivoluzioni nel mondo pedagogico. Tuttavia, due o tre anni fa, nelle direzioni degli istituti scolastici ci si è resi conto della necessità di formare ragazzi e ragazze muniti delle competenze necessarie a vivere in una società digitale. Un altro cambiamento ha riguardato l’introduzione del lavoro per progetto pedagogico. Ma come nel caso del digitale, si tratta di una metodologia da adottare non «tanto per», ma che deve avere un senso ed essere finalizzata allo sviluppo delle conoscenze e competenze.

La chiusura delle scuole ha invece fatto emergere due correnti di pensiero di segno opposto: da un lato i difensori della forma ibrida e dall’altro i fautori del digitale puro. I primi avanzano l’argomento secondo cui un minimo di contatto sociale è sempre necessario all’apprendimento. I secondi ribattono sottolineando le maggiori libertà e la riduzione degli spostamenti. Personalmente ritengo che il digitale non sia croce o delizia, ma che si debba piuttosto trovare la giusta via di mezzo.

Cosa ci serba il futuro?

Durante il lockdown non si faceva che parlare di «home schooling». Contrariamente a quanto si è sovente detto però, non si tratta di un fenomeno nuovo dal momento che studenti e studentesse hanno sempre eseguito parte dei loro compiti a casa. Tuttavia, la scuola a distanza ha messo in luce una certa ingiustizia sociale (a livello di dotazione tecnica in famiglia o di capacità dei genitori di seguire i figli). Allora, alla base del dibattito del futuro ci sarà forse un altro quesito: il sistema scolastico sarà in grado di offrire un sostegno online per ridurre le ingiustizie sociali e aiutare ragazzi e ragazze socialmente svantaggiati?

© Jacobs Foundation

Ex maestro di scuola elementare, Pierre Dillenbourg è oggi professore ordinario di tecnologie della formazione presso la Facoltà di informatica e sistemi di comunicazione del Politecnico di Losanna (EPFL). Dal 1º gennaio 2021 ne è anche vicepresidente associato per l’educazione.

Indicazioni ulteriori

Modulo collegato

Modulo «Lavoro del futuro»

Il giornale «Lavoro del futuro» si concentra lle ripercussioni della svolta tecnologica sull’occupazione e come prepararsi ad essa.

  • Gli articoli del giornale «Lavoro del futuro» sono indipendenti gli uni dagli altri e possono essere letti in qualsiasi ordine.
  • L’elaborazione didattica si effettua con il set di esercizi corrispondenti che può essere svolto sia online che in versione cartacea.